Documento interassociativo sul tema della dignità della persona
Come filosofi impegnati nella promozione del valore della persona ci sentiamo interpellati dalla vicenda che ha coinvolto la bimba inglese Indi Gregory e la sua famiglia e proponiamo un manifesto congiunto che attesta l’intenzione di approfondire programmaticamente quanto segue:
1) La controversa gestione di questa vicenda ha posto in evidenza un crescente potere dello Stato nel sancire il best interest di un minore. Si tratta di una insidiosa invadenza sulla giurisdizione dei genitori (nella fattispecie una madre e un padre compattamente uniti nella volontà di accogliere e accudire la loro figlia gravemente malata fino al sopraggiungere della morte naturale).
Per contrastare questo squilibrio tra il potere dello Stato e la potestà genitoriale nei confronti di figli minorenni in particolare situazione di vulnerabilità, noi affermiamo che:
la persona, anche in condizioni considerate inguaribili, conserva la sua dignità ontologica e spirituale ed essa permane sempre a fondamento del diritto.
Pertanto la tutela del diritto naturale alla vita della persona costituisce la misura di ogni giudizio deliberativo in campo legislativo e nessun organo dello Stato può violarla, neanche in nome del cosiddetto best interest delle persone stesse, principio peraltro di chiara derivazione utilitaristica, e in quanto tale troppo debole nella salvaguardia del bene incondizionato che è la vita della persona.
2) La vicenda di Indi Gregory, pur non assimilabile ai casi di eutanasia infantile, pone in risalto il progressivo delinearsi nei Paesi economicamente più avanzati di una prassi nichilista indifferente e disimpegnata nella ricerca di verità e di Bene che ha alle spalle sul piano antropologico la scelta di una concezione efficientista e funzionalista atta a giustificare dal punto di vista teorico una cultura dello scarto che guarda le vite più deboli – segnate da disfunzioni e disabilità – come un mero peso sociale e un costo per la sanità e lo Stato. A fronte di uno spersonalizzante economicismo che riduce il fine della società alla logica del profitto e dell’homo consumens e che denota la qualità di vita in termini di capacità produttiva noi affermiamo la validità di una prospettiva onto-assiologica dell’essere umano che lega inestricabilmente il valore della persona al suo stesso essere. Da ciò consegue che la persona, per quanto inerte; e ridotta alle sue funzioni vegetative è molto più di ciò che manifesta attraverso i minimi atti che compie. Il suo valore è saldamente radicato in una intangibile realtà ontologica accessibile mediante il linguaggio dell’amore e della cura, che sfugge alla logica del riduttivismo fenomenista e materialista.
3) Inguaribilità e incurabilità non sono sinonimi. Una malattia può essere considerata dalla medicina allo stato attuale come inguaribile, ciò non significa che alla persona malata sia da negare una “cura” (nel senso latino del prendersi cura, come forma di accudimento e accompagnamento). Da questo punto di vista, la “cura” è un diritto per ogni essere umano, anche nel caso di malattie inguaribili. Porre fine drasticamente a una vita inguaribile negandole una cura, senza il consenso dell’interessato o dei parenti, sarebbe un abuso della medicina o dello stato (o di entrambi).
Conseguentemente noi affermiamo che inguaribilità dal punto di vista medico-scientifico non può e non deve ipotecare la speranza di ricevere un sacrosanto diritto all’assistenza, all’accudimento e alla cura. Nel caso emblematico della bimba inglese affetta da una rara patologia genetica inguaribile che le rendeva impossibile sopravvivere senza supporti tecnici e condannava il suo organismo a un progressivo deterioramento, destinato a concludersi in tempi brevi naturalmente con la morte, la persona era comunque viva, anche se in una particolare e quasi indecifrabile condizione. Tale stato rinvia al senso del “mistero” che non è interpretabile solo sul piano bio-fisico, e interpella, inquieta, costringe a confrontarsi con il limite e l’oltre dell’esistenza.
Storicamente il concetto di persona affonda le radici nel cuore della teologia cristiana.
Senza la riconduzione a questa sua matrice spirituale e trascendente, ciò che noi oggi chiamiamo persona sarebbe rimasto qualcosa di non definibile e il fatto che le persone non sono fenomeni semplicemente naturali non sarebbe stato riconosciuto.
Fortunatamente oggi la centralità della Persona, la sua dignità e intangibilità viene accolta anche dal pensiero laico, che per coerenza può rifiutare l’eutanasia come pratica che non rispetta né la vita né la libertà della persona, ed espone quest’ultima a divenire oggetto manipolabile da altri.
Uno Stato che non voglia inclinare verso una progressiva disumanizzazione deve riconoscere ogni persona come soggetto di diritto con una pari dignità all’accudimento e alla cura. Nessuno Stato può strappare con la forza un bimbo malato dalle mani amorevoli dei genitori, tantomeno nel nome di un presunto best interest che prescinde dalla ab-solutezza di valore intrinseco della persona.
Anche una persona ridotta all’esercizio delle sole funzioni vegetative, è pur sempre persona. E con questa affermazione intendiamo denunciare l’insidia di una “logica eugenetica” nascostamente avanzante nella nostra società e già implicitamente presente nell’affermazione filosofica secondo cui, perché ci sia persona si richiede il requisito dell’autocoscienza. Non possiamo renderci complici di tali concezioni antropologiche “deboli” secondo le quali se un essere umano manca della coscienza di sé – da intendere non solo come una potenzialità presente in ogni essere umano fin dalla formazione delle sue cellule cerebrali ma come esercizio effettivo di questa consapevolezza – non avrebbe diritto alla vita. Certe elaborazioni filosofiche che distinguono fra “essere umano” e “persona”, finiscono poi per giustificare pratiche disumane, che giungono addirittura all’infanticidio. E bisogna tristemente ricordare che perfino uno dei “padri” riconosciuti della bioetica quale Peter Singer saluta come progresso la prassi diffusa negli ospedali e avallata dai tribunali anglosassoni di lasciar morire i bambini gravemente disabili.
Consapevoli della vastità complessa e inestricabile di tali questioni che toccano punti nevralgici di comprensione dell’umano e il senso profondo dell’essere-nel-mondo, affermiamo la nostra ferma volontà di perseguire la via di un approccio inter e trans-disciplinare che contrasti l’adozione di criteri riduttivistici, improntati a semplificazioni ed esposti a illegittime strumentalizzazioni.
Sul piano dell’etica clinica auspichiamo il diffondersi -contro una cultura dello scarto- di tutte quelle pratiche che vengono in soccorso prima e oltre la “scorciatoia” eutanasica o del suicidio assistito, vale a dire: le cure palliative, l’accompagnamento della singola persona assistita e dei familiari/caregivers, la sedazione palliativa profonda, l’instaurarsi di un’alleanza terapeutica medico-paziente anche attraverso la mediazione di specifici comitati di bioetica. Si avverte spesso nell’opinione pubblica una profonda mancanza di informazione su tutte queste buone pratiche che sono state messe a punto nei decenni in nome di una cultura della vita che combatte il dolore in tutte le sue forme.
Sappiamo bene che la vita umana ha dei limiti, ma non vogliamo che si ripeta più il caso di una bambina strappata a forza dalle braccia amorevoli dei suoi genitori, per essere portata a morire in un hospice a sirene spiegate e scortata dalla polizia, negandole perfino il sacrosanto diritto di morire a casa sua. In tal caso sembra ingiustificata la decisione giuridica e medica inglese di negare ai genitori una ‘seconda scelta’, ossia il trasferimento di Indi presso l’ospedale del Bambin Gesù di Roma.
In conclusione, prendendo spunto dalla vicenda di Indi Gregory, ma senza disconoscere altri casi, ribadiamo con forza le convinzioni di fondo che fin qui abbiamo cercato sia pur succintamente di argomentare. Sì alla vita di ogni persona fragile, vita che ha sempre un carattere “sacro”. Sì al valore di ogni persona gravemente malata, valore che non varia a seconda delle condizioni sanitarie. No alla divisione fra persone di serie A e persone di serie B nel diritto a una “cura” sia pure palliativa. Sì all’accompagnamento delle famiglie dei malati, che non devono mai essere lasciate sole dalle istituzioni specie nel momento di lutto e di dolore.
Claudio Ciancio, Vittorio Possenti, Giorgio Rivolta, Luca Robino, Flavia Silli, Lucia Stefanutti, Tommaso Valentini: Persona al Centro. Associazione per la Filosofia della Persona
Angela Ales Bello, Anna Maria Pezzella: Centro Italiano di ricerche fenomenologiche; Associazione Italiana Edith Stein
Gregorio Piaia, Renato Pagotto, Enrico Giora, Mario Cutuli, Stefano Didonè, Adriana Barbon, Paolo Donà, Francesco Solitario, Matteo De Boni, Leopoldo Sandonà: Fondazione Luigi Stefanini
Hanno inoltre comunicato la loro adesione:
Patrizia Manganaro, direttrice dell’area internazionale di ricerca su Edith Stein e il pensiero contemporaneo
Furio Pesci, Presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Montessori Italia
Rassegna stampa:
«In tutta la vita c’è sempre la persona», articolo pubblicato su Avvenire del 7 dicembre 2023
«Dignità umana e cure palliative», Articolo apparso sull’Osservatore romano del 5 dicembre 2023
«Indi Gregory, tra dignità umana e cure palliative: una riflessione filosofica», articolo pubblicato su Vatican news del 4 dicembre 2023