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Lo scontro Iran–Israele–Usa e quegli errori da non ripetere

Il diritto internazionale è la fragile difesa contro l’arbitrio dei potenti.
di Vittorio Possenti – pubblicato su Avvenire il 26 giugno 2025


Il diritto internazionale, fragile difesa contro l’arbitrio dei potenti, attraversa un periodo di grave crisi, in cui si rispecchia il caos dell’ordine mondiale.

Il presidente Trump, ai primi di febbraio, ha firmato un ordine esecutivo che impone sanzioni alla Corte Penale Internazionale (CPI), accusandola di “aver intrapreso azioni illegali e infondate contro l’America e il nostro stretto alleato Israele”. Tra le sanzioni: il divieto di ingresso negli Stati Uniti per il presidente della CPI.

Dopo poche ore, una dichiarazione congiunta di 79 Paesi membri delle Nazioni Unite (tra cui molti dell’UE) ha condannato le sanzioni di Trump. Il governo italiano non firmò, pur essendo l’Italia uno dei principali fondatori della CPI. Non sono stati resi noti i motivi della scelta, a mio parere infelice.

Nel novembre 2024, la CPI aveva emesso un ordine di cattura verso i leader di Hamas – responsabili dei massacri del 7 ottobre 2023 – e verso il premier israeliano B. Netanyahu (e il ministro Gallant), accusati di crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi durante il conflitto a Gaza per gli attacchi intenzionali contro la popolazione civile.

I leader di Hamas sono stati poi eliminati dagli israeliani, mentre Netanyahu ha osannato l’ordine esecutivo di Trump. In precedenza, la Corte, nell’ambito delle indagini sulla situazione in Ucraina, il 17 marzo 2023, emise due mandati di arresto nei confronti di V. Putin e Maria Lvova-Belova, per il crimine di guerra di deportazione e trasferimento illegale di bambini dalle aree occupate dell’Ucraina alla Federazione Russa.

È bene ricordare che i mandati di arresto nei confronti di Putin e Netanyahu rimangono pienamente in vigore, sebbene le possibilità esecutive siano evanescenti.

In Italia, dopo la decisione della CPI, il vicepresidente del Consiglio Salvini invitò Netanyahu a venire nel nostro Paese, dove sarebbe stato “benvenuto”.


La crisi della legalità internazionale

La politica estera di Trump, già nel primo mandato e ora in modo ancor più veemente, si basa sulla sistematica delegittimazione di organi e strutture internazionali che possano porre un limite alla volontà di potenza degli Stati più forti, e sulla legittimazione delle guerre preventive.

L’ordine esecutivo di Trump ha comportato la decisione di Israele e degli USA di eliminare ogni presenza di agenzie ONU a Gaza, dove si sta consumando un’immensa tragedia nell’indifferenza generale. Dopo un lungo periodo in cui i camion con gli aiuti umanitari sono stati bloccati o fatti passare col contagocce da Israele, da alcuni mesi il servizio è monopolizzato da americani e israeliani: le tragiche conseguenze sono evidenti, tra cui il numero elevato di morti giornaliere per spari, bombardamenti e altre operazioni dell’IDF.

L’affamamento progressivo dei gazawi da parte di Israele sta evidenziando una pulizia etnica senza tanti sottintesi. Nel frattempo, una seconda aggressione accade in Cisgiordania: dall’entrata in vigore del cessate il fuoco a Gaza (19 gennaio), una violenza senza precedenti da parte dell’esercito israeliano e dei coloni sta devastando il territorio. Oltre 40.000 persone sono state costrette a fuggire da abitazioni e campi profughi, mentre nuove fasce di territori vengono occupate.


La responsabilità italiana

Da cittadino italiano, considero in primo luogo l’azione del Governo italiano – in particolare della Presidente del Consiglio e del Ministro degli Esteri.

Nel giugno 2024, durante l’incontro del G7 presieduto dall’Italia, tutti i leader hanno recitato con convinzione la formula dei “due popoli, due Stati”. Ma poi non è stato fatto nulla. Anzi, già dal 7 ottobre 2023 in avanti, l’Italia si è sistematicamente astenuta su numerose mozioni ONU per tregue umanitarie e risoluzioni di condanna, diversamente da altri Paesi europei (Francia, Spagna, Belgio…).

Tra le astensioni:

  • 10 maggio 2024: riconoscimento della Palestina come membro a pieno titolo dell’ONU (Francia e Spagna votarono a favore).

  • 15 settembre 2024: risoluzione sulla fine dell’occupazione di Gaza, ritiro delle truppe israeliane e cessazione degli insediamenti in Cisgiordania. Anche qui l’Italia si astenne, nonostante una larga maggioranza.

Questa ingiustificata inerzia implica una responsabilità non solo politica ma morale.

Il Presidente Mattarella non perde occasione per richiamare la soluzione dei due Stati, ma inutilmente. Solo da poco il Governo italiano ha assunto un orientamento più deciso nel condannare la strage in corso a Gaza e nel chiedere la cessazione delle ostilità nella Striscia, dove finora sono morti – per fuoco, fame o bombardamenti – circa 60.000 gazawi.

Rimane però estremamente vaga la prospettiva che l’Italia, insieme ad altri Stati UE, possa riconoscere lo Stato palestinese. Questa ipotesi incontrerebbe certamente un rifiuto totale da parte di Netanyahu, dei coloni e degli ultraortodossi, che faranno di tutto per impedirla.

Ma se il principio “due popoli, due Stati” non è stato enunciato solo per gettare polvere negli occhi, occorre non indietreggiare. Altrimenti continueranno l’espulsione dei palestinesi di Cisgiordania e Gaza, e forse si realizzerà la proposta ignominiosa di Trump: deportare i gazawi e trasformare la Striscia in un resort.


Il pericolo dell’arbitrio

Torniamo alla Corte Penale Internazionale e alle altre agenzie multilaterali disprezzate da Putin, Trump, Netanyahu e altri. La loro debolezza è il massimo obiettivo dei potenti di turno, che impongono la loro volontà.

Nello scontro Iran–Israele–USA, è ragionevole vietare armi nucleari all’Iran, ma molto meno sarebbe un cambio di regime imposto con un’invasione militare. Il fallimento totale della guerra in Iraq del 2003 – che condusse al collasso dello Stato e a circa 800.000 morti – è un monito.

L’aggressione preventiva si basò su informazioni false diffuse dalla CIA: la presunta presenza di missili in Iraq capaci di raggiungere Londra in 40 minuti, tesi sostenuta da Bush Jr. e Tony Blair, e presentata all’ONU dal generale Colin Powell. Solo quest’ultimo ebbe la forza – anni dopo – di ammettere di aver mentito. Gli altri no.

Parimenti fallimentare fu la campagna americana in Afghanistan (2001–2021). Meglio non ripetere l’errore.

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