Articolo di Vittorio Possenti pubblicato su “Avvenire” del 30 maggio 2025.
La visione dei tecno-ottimisti è veicolata nel Manifesto dei tecno-ottimisti (The Techno-Optimist Manifesto) di Marc Andreessen (2023). Essa si articola in 113 brevi affermazioni, ciascuna delle quali inizia con “We believe”, una sorta di “Dichiarazione dogmatica di fede tecnologica”, quasi un nuovo “Credo” per la nuova chiesa dei tecno-ottimisti, dei seguaci della nuova religione del progresso (sordamente inquinata dalla volontà di potenza). Andreessen è convinto che l’innovazione tecnologica, guidata dal libero mercato, porterà inevitabilmente a una società migliore. Egli assegna una priorità incondizionata al progresso tecnologico piuttosto che all’etica, nella quale ravvisa un tentativo di rallentarlo. La tecnologia e i mercati creano un motore di crescita illimitata, con un’abbondanza di beni e servizi e nuove opportunità, in una accelerazione perpetua. “Crediamo che sia questo il motivo per cui i nostri discendenti vivranno nelle stelle”. Nessun cenno è dedicato all’eguaglianza, anzi lo spirito della diseguaglianza è penetrato ovunque. Il contratto sociale esplode quando i ricchi pagano sempre meno tasse e sui poveri viene scaricato il maggior peso. Lasciare andare i poveri (e i non-bianchi) al loro destino e privatizzare lo Stato, ed ecco il passaggio dalla democrazia all’autocrazia. Una brigata ideologica di anarco-capitalisti della Silicon Valley può mettere le mani sul governo più potente del mondo.
Già nel 2009 Peter Thiel sosteneva: “Non credo più che democrazia e libertà siano compatibili perché, se hanno spazio, le forze democratiche finiranno per votare restrizioni al potere dei capitalisti, limitando la loro libertà (The education of a libertarian, Cato Institute)”. “Resto fedele alla fede della mia adolescenza: all’autentica libertà umana come precondizione per il bene supremo. Rimango contrario alle tasse confiscatore, ai collettivi totalitari, e all’ideologia dell’inevitabilità della morte per ogni individuo. Per tutte queste ragioni mi definisco tuttora un libertario: abolizione delle leggi sul salario minimo, opposizione all’assistenza sanitaria universale; privatizzazione di molte agenzie governative”. Si procede verso un “minimal State” in cui non vi sia intervento pubblico ma libertà assoluta per “venture capitalists” e innovatori. Della giustizia sociale si è persa ogni traccia. La politica stessa, nelle sue forme tradizionali, non ha più ragione di esistere, perché può essere letteralmente rimpiazzata dalla tecnologia. Sembra in buona parte il programma della nuova Amministrazione Usa: ciascuno ne intende la distanza siderale dall’Insegnamento Sociale della Chiesa. Esiste però un “ma”: il capitalismo oligarchico, miliardario e tecnocratico con l’accentramento del potere digitale in pochissime mani, è in flagrante contraddizione con il postulato centrale del libertarismo dell’individuo che dovrebbe autorealizzarsi in qualsiasi modo, senza porre limiti allo sviluppo tecnologico, alla sua accelerazione, al suo crescente dominio. In questo modo il potere politico verrebbe fagocitato dal potere tecnocratico. Difficile prevedere come la vicenda troverà una soluzione, ma che prevalgano i trumpiani o i tecnocapitalisti, o una miscela tra loro, la tenuta della democrazia americana è sfidata duramente.
Queste prospettive sono presenti negli Stati Uniti dove il declino dell’Occidente, iniziato prima del crollo dell’Urss è più evidente per il collasso del sistema educativo iniziato 60 anni fa, per l’avvento di religioni in cui il guadagno e il denaro sono segno del favore divino. “La sconfitta dell’Occidente” (2024), di cui tratta Emmanuel Todd, è un’opera che si lega al declino demografico, morale ed economico delle società occidentali, alla crisi delle strutture familiari, alla scomparsa della religione e al trionfo del nichilismo nella vita sociale. Per fare i conti con l’autodistruzione dell’Occidente, Todd chiama in causa le sue classi dirigenti, in specie quella degli Stati Uniti, con il conflitto russo-ucraino a fare da lente di ingrandimento. Egli contrappone una Russia stabilizzata, di nuovo grande potenza, a un Occidente in preda alla confusione e in crisi irreversibile di egemonia.
Il discorso di Todd è più vasto di quello di Thiel, perché introduce altri fattori fondamentali, tra cui la “scomparsa della religione”. In effetti l’Europa si sta congedando dal cristianesimo. Si ritiene che esso sia superfluo per la propria sopravvivenza civile geopolitica. Gli europei si illudono che i valori democratici, liberali e cristiani possano rimanere nelle loro società proprio quando le radici cristiane si disseccano e le sorgenti vengono meno. Secolarismo, indifferenza nei confronti di Dio, distacco dalla fede procedono da decenni senza apprezzabili segnali di cambiamento. L’antropocentrismo è salito a un livello talmente elevato che l’essere umano ritiene la fede un ornamento superfluo, di cui si può fare benissimo a meno. Di Dio non v’è più bisogno, la tecnologia lo ha sostituito, e in specie l’IA che mette da parte tanto la politica che la religione. La volontà di potenza che abita l’epoca e che si impersona in specie nello straordinario potere tecnocratico e capitalistico alleati insieme, contagia tutti, anche coloro che sono soggetti anonimi e sottoposti, cancellando il senso del perdono. Pochi avvertono che la persona umana è un soggetto ferito, e non di rado più inclinato al male che al bene. Papa Francesco ha definito l’IA “strumento affascinante e tremendo”. I rischi cui alludo ricorrono abbondantemente nei suoi discorsi ed encicliche, e vanno in accordo con la prospettiva dell’Evangelii Gaudium. Anzi le diagnosi impietose sull’Occidente oligopolista, dominato da tecnocrazia e finanza, si sono fatte più frequenti negli ultimi anni del suo pontificato, ma la critica circostanziata di Francesco al paradigma tecnocratico era già svolta nella Laudato si’ (nn 102-110).
Sin dal primo istante Leone XIV ha attirato l’attenzione sull’IA. Se paure e vuoto esistenziale percorrono l’Occidente e l’Europa, il rimedio non sta nel moltiplicare gli smartphones. La Chiesa in uscita missionaria non trova rose e fiori ad accoglierla, ma un’umanità ferita e smarrita, dove gli scarti restano tali. La potenza della tecnica induce in noi un doppio esito: quello di affidarsi ad essa senza riserve e quella di voler costruire un mondo dominato da pochi e abitato da una moltitudine di schiavi felici perché non sanno di esserlo. Nel discorso di Bergoglio al G7 (14 giugno 2024), dopo aver riconosciuto col condizionale “potrebbe” i vantaggi di essa (miglior accesso al sapere, progresso della ricerca scientifica, delega alle macchine di lavori usuranti), segue la serie dei “no”: accrescimento dell’ingiustizia tra popoli e stati, tra strati dominanti e ceti sociali oppressi, il pericolo che la cultura dell’incontro si assottigli ancora di più e prevalga quella dello scarto. Durante il precedente pontificato abbiamo assistito a un innalzamento della crisi dell’idea di verità: sono apparse le non verità e le post-verità, il relativismo e la scepsi. Come potrà l’IA aiutarci in un cammino di risalita? Abbiamo invece bisogno di intelligenza spirituale nell’epoca della IA, affinché non si perda l’apertura del cuore.
L’etica per l’IA (l’algoretica) è necessaria, ma non basta. Anche un’algoretica che introduca entro l’IA valori, criteri, principi che guidino l’operare della macchina – un’etica “cablata internamente” sin dall’inizio – per quanto utile non sembra sufficiente. È un punto nodale. Il richiamo quasi universale all’etica (da Kant in poi si alza da tante parti il grido “dateci un’etica per questo o per quello”) non basta. Un’etica che non affondi le sue radici in un pensiero veritativo, infatti, va incontro a infinite cadute. L’etica non regge più di tanto quando non si nutre di verità ferme e metartiche, ossia “metafisiche”.