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Israele e Palestina, va rilanciata la soluzione dei due Stati

Articolo di Vittorio Possenti. presidente dell’Associazione “Persona al centro”, pubblicato su Avvenire del 14 settembre.

Il G7 tenutosi in Puglia dal 13 al 15 giugno di quest’anno si è chiuso con una dichiarazione comune, in cui si manifestavano piena convergenza per una soluzione della crisi a Gaza e il riferimento esplicito alla prospettiva dei due popoli in due Stati (Israele e Palestina). Da allora la situazione sul campo di battaglia e nel quadro geopolitico non ha fatto passi avanti ma indietro. I bombardamenti su Gaza non hanno avuto soste, e il numero dei morti palestinesi è cresciuto ulteriormente, in specie a Gaza ma anche in Cisgiordania. Qui la violenza dei coloni è aumentata nelle scorse settimane, complice anche la riluttanza delle truppe israeliane a intervenire, nonostante il ripetuto invito del segretario di Stato Blinken affinché Israele cambi profondamente il modo di operare in Cisgiordania. Il presidente Biden, forse anche per una fase di personale appannamento, non è riuscito a ottenere nulla da Netanyahu, nonostante i tre mesi trascorsi dal G7. Le prospettive di un accordo per una tregua sono al lumicino, e si profila anzi un allargamento del conflitto in specie verso il Libano (milizie Hezbollah) e forse la Siria. Il governo israeliano gioca su due tavoli: ottenere dagli USA le armi necessarie per allargare la guerra oltre Gaza e la Cisgiordania, e tenere a bada un’opinione pubblica che dissente su molte decisioni dell’esecutivo, in particolar modo sulla dolorosa questione degli ostaggi. Sin dall’inizio essa non è stata certo collocata al primo posto per il dichiarato intento del premier di raggiungere la ‘vittoria finale’, a qualsiasi costo. L’azione del governo Netanyahu sembra rivolta ad allargare il conflitto, sperando forse di coinvolgere più direttamente gli Stati Uniti nei confronti dell’Iran.

A fine maggio Spagna, Norvegia, Irlanda e Slovenia hanno formalizzato il riconoscimento dello Stato di Palestina (i Paesi dell’Ue che lo riconoscono sono dodici), suscitando le proteste israeliane. Dopo il G7 i suoi membri e i Paesi importanti dell’UE hanno guardato altrove, senza effettuare azioni concrete per tenere viva la prospettiva dei due Stati; il governo italiano non ha fatto eccezione. In Israele l’avversione per lo Stato palestinese è guidata dal potente gruppo dei cosiddetti “messianici” che sostiene Netanyahu. Non si comprende perché l’ultradestra fascistoide venga chiamata con un termine pieno di tante risonanze teologiche, che non si attagliano ai personaggi di tale gruppo. Essi dichiarano che la missione della loro vita sta nel contrastare con ogni mezzo, compreso il terrorismo e l’assassinio, la nascita di uno Stato palestinese.

Proprio perché questo problema è veramente arduo, non può più essere lasciato a mere espressioni verbali che non incidono nei fatti. Se gli Stati di maggior peso non prendono oggi in mano concretamente la vicenda, sarà ancor più difficile domani. Sul piano morale si avverte, almeno in parti dell’Occidente, una differenza considerevole nel valutare le sofferenze degli israeliani e dei palestinesi, sulla scorta del diritto di Israele alla legittima difesa. La sicurezza di Israele consente ipso facto ogni azione e repressione? Giustifica l’uccisione di bambini, adolescenti, donne ed anziani innocenti? Partendo dai 41000 morti a Gaza e applicando il criterio di un miliziano ucciso e due ‘perdite collaterali’, si giunge a ca. 14000 morti di Hamas, e a oltre 27000 morti di civili, tra cui tanti bambini. Domandiamo: nessun livello di sofferenza palestinese va tenuto in conto dinanzi alle esigenze di Israele? Sembra che i palestinesi siano tutti colpevoli, un’etnia inferiore di cui si può disporre a piacimento. Qui si annida un dilemma drammatico: in Israele alberga più o meno ampiamente l’assunto che i palestinesi non siano né una nazione, né un popolo, ma un gruppo raccogliticcio di soggetti senza diritti: l’attuale governo rappresenta con durezza tale opinione e la sostiene attivamente. Serpeggia un criterio razziale che allude a una superiorità ebraica: un presupposto ideologico razzista, di cui furono tragicamente vittime gli ebrei sotto la maledizione del nazismo, e verso cui dovrebbero sentirsi particolarmente sensibili per le immani sofferenze patite.

Torniamo al punto di partenza. Nel momento in cui l’Onu è fuori gioco, gli Usa distratti e inconcludenti, l’Ue assente, bisognerebbe non lasciar cadere la soluzione dei due Stati, ma anzi rilanciarla in modo ampio e concreto.  Occorre che in Italia si rianimino le prospettive, guardando oltre i confini, e si riprenda ad agire politicamente in vista del nostro riconoscimento dello Stato di Palestina.

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