Avvenire del 15 febbraio 2024
NEL BILANCIO A VENTANNI DALL’APPROVAZIONE DELLA LEGGE 40 EMERGE LA DISTORSIONE INTRODOTTA IN SEDE GIUDIZIARIA
Così la fecondazione eterologa sta manipolando la genitorialità
VITTORIO POSSENTI
È appena trascorso il ventesimo anniversario della approvazione in Parlamento della legge 40 (10 febbraio 2004). Come è noto, essa, dopo aver superato la prova di un referendum abrogativo fallito (2005), è andata incontro a una serie di interventi molto incisivi della nostra Corte costituzionale. Il più radicale fu espresso nella sentenza n. 162 del 2014, che ne stravolgeva l’impianto attraverso l’introduzione della fecondazione eterologa, e senza sottovalutare un’altra sentenza che consentiva di produrre numerosi embrioni, scegliendo poi quelli da impiantare nell’utero.
Importante è considerare il procedimento argomentativo con cui la Corte arrivò alla decisione che, a quanto pare, fu assunta a larga maggioranza.
La Corte, chiamando in causa la coppia sterile, stabilì che «la determinazione della coppia di avere o meno un figlio […] non può che essere incoercibile […], di modo che l’uguaglianza della patologia tra coppie omologhe ed eterologhe è sufficiente a oltrepassare il divieto di eterologa, nonostante le ben diverse situazioni di fatto». Secondo la Corte la procreazione medicalmente assistita (Pma) è il genus che ospita dentro di sé le due species della Pma omologa e della Pma eterologa. Non pochi, anche tra coloro che non erano ostili alla sentenza, ne osservarono la fragilità e il carattere meramente estrinseco dell’argomento. A mio parere essa risultò più politica che giuridica, e mal costruita anche sul piano fenomenologico. Il “fornitore” e la sua responsabilità sono taciuti, come se l’atto di fornire un gamete fosse irrilevante e non invece centrale nell’intero processo; né si considera il diritto del concepito di essere informato sulla sua origine. La Corte, cercando un bilanciamento degli interessi in gioco, non poteva che approdare alla decisione assunta, in quanto in premessa era stato introdotto il diritto incoercibile di avere un figlio. La sentenza aggiunse che alla Pma di tipo eterologo potevano ricorrere solo coppie di sesso diverso. Per le convivenze omosessuali, per le quali la sentenza espresse un divieto, l’ostacolo è di fatto superato mediante l’eterologa effettuata all’estero e/o con la maternità surrogata.
La filiazione non è però un fatto tecnico- produttivo ma essenzialmente relazionale tra il genitore reale e il figlio, che non si può ricondurre solo all’autodeterminazione volontaristica dell’adulto. Rimane perciò ai margini che nella fecondazione eterologa la figura stessa della genitorialità è viziata sia per l’irresponsabilità del fornitore e per l’atteggiamento soggettivo dei “genitori”, sia per il discapito del figlio eterologo che si vede preclusa la verità sulla propria origine. Nell’insieme il pensiero tecnico prevale su tutto il resto (quello che per il pensiero tecnico è un fornitore per il pensiero reale è un padre o una madre). L’istanza tecnica passa sopra le differenze reali, in accordo con il suo carattere in cui tutto diviene funzionale e intercambiabile. La tecnica conosce le regole del produrre e non le norme dell’agire. Solo da un punto di vista esclusivamente tecnico l’eterologa è una species della Pma, non certo da un punto di vista reale, per la differenza esistenziale invalicabile tra le due situazioni. Come è stato osservato più volte e recentemente anche da Avvenire, il “mercato della vita” sta tornando: commercio senza limiti dei gameti, fecondazione incontrollata da parte di ogni tipo di coppia, utero in affitto, “famiglie” plurigenitoriali o monogenitoriali, fine dei legami familiari come li abbiamo conosciuti, aumento della distruzione degli embrioni umani, incremento degli interventi eugenetici. A ciò si aggiunga la crescente infertilità delle coppie che prosegue da decenni, e che merita attenzione e terapie specifiche, sinora mancate. I nostri figli nasceranno sempre di più in provetta?
Il divieto di maternità surrogata (o utero in affitto), che il nostro Parlamento dovrebbe approvare come reato, è certo qualcosa da fare, tuttavia non sana il vulnus della Pma eterologa, in cui genitore biologico e genitore sociale differiscono. A mio avviso non dobbiamo arrenderci, ma operare perché in futuro la Corte possa rivedere il suo giudizio sul “diritto al figlio”, comunque ottenuto.
Una parola merita il ricorso sempre più ampio nel dibattito pubblico e nell’attività legislativa al criterio di non-discriminazione, spesso sotto la spinta dell’opinione pubblica prevalente in un certo momento, a sua volta convenientemente formata dal sistema dei media. Eppure tale criterio è violato quando si nega il carattere di essere umano a una determinata categoria di soggetti: nei loro confronti si opera la discriminazione più radicale fra tutte, poiché si nega loro la dignità umana. Si ponga mente alla selezione eugenetica degli embrioni, evento in cui tra soggetti di pari dignità si procede ad accoglierne alcuni e a rifiutarne altri. Non c’è violazione più palese del criterio di non-discriminazione. Su questo aspetto la Corte ha dichiarato l’esclusione della Pma eterologa a fini eugenetici. Il problema non è però chiuso. L’incoercibile “diritto al figlio” renderà più arduo opporsi alla potente spinta verso il riconoscimento di un nuovo “diritto”, quello a un “figlio geneticamente sano”. Ma se il diritto alla vita dell’embrione è senza condizioni, come può dipendere dal possesso o meno di una qualità determinata quale la salute? Fondamentale resta perciò la ricerca per guarire i difetti genetici.